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Piano di emergenza sismica, impegni disattesi

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eventi sismici dal 1985 a CataniaCatania è tra le città a maggior rischio sismico d’Europa. Lo sappiamo.
A tutelarci potrebbe essere il Piano di emergenza del Comune di Catania, realizzato nel 2011, rivisto ed aggiornato nel dicembre 2012, in osservanza all’art. 3bis della Legge n° 100 del 3/7/2012, “sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico ed idraulico”.
Pianificazioni ineludibili dopo il sisma dell’Aquila nel 2009 e quello in Emilia Romagna del maggio 2012.
Si tratta di un piano complessivo per gestire le emergenze, non solo sismiche ma anche legate ad altri rischi, di esondazione, vulcanico, di incidente industriale, e così via, compreso il black out elettrico e la festa di sant’Agata..
Lo spazio dedicato al rischio sismico, su un totale di 55 pagine, è compreso tra pagina 14 e pagina 20, nella sezione C.3.1, che descrive gli ‘Scenari e i modelli di intervento’.
Senza pretendere di fare un’analisi accurata del documento, ci limitiamo ad alcune osservazioni relative a quello che non ci ha convinto.
Innanzi tutto il fatto che, nonostante – nella parte iniziale del documento – si affermi più volte la necessità di un aggiornamento e approfondimento continuo, unico modo per fronteggiare in modo adeguato le ‘calamità’, il Piano non sia stato più aggiornato dal 2012.
La città è un organismo vivente, in continua trasformazione, leggiamo a pag. 1, ed è per questo che “il Piano deve vivere insieme ad essa”. Ecco perchè, “una volta l’anno sarà effettuato un aggiornamento complessivo del Piano che dovrà essere approvato formalmente dal Sindaco e comunicato ai soggetti interessati” (pag 7).
Così non è stato.
Altro impegno non mantenuto, la necessità di un lavoro ‘sinergico e coordinato’ cui devono dare il loro contributo tutte le componenti tecniche del Comune e della città, gli altri enti che operano sul territorio e la comunità scientifica.
Non ci risulta realizzata, inoltre, l’attivazione del Centro Operativo Comunale (COC) e del Centro Operativo Misto (COM) rimasti, a quanto ci risulta, sulla carta nonostante il ruolo centrale che dovrebbero svolgere in caso di calamità.
Ancora: che fine ha fatto la Costituzione dei ‘Presidi territoriali di protezione civile‘, presentati (pag 12) come una necessità urgente ?
Abbondano, correttamente, nel Piano, i riferimenti alla storia sismica della città e i dati relativi alla “severità dello scuotimento” originata dal sisma, ma ben poco troviamo sulle conseguenze operative di queste premesse.
Le scelte compiute dall’Amministrazione, soprattutto quelle urbansitiche, ma anche solo quelle relative allo spostamento di uffici pubblici da una sede all’altra, ne hanno tenuto conto?
A pag 18 del Piano vengono individuate le zone della città a più alto rischio, ed è forse questa la tabella più interessante. Su una piantina troviamo segnalati, in rosso, una parte del centro storico (da via Plebiscito a via Umberto a via Dusmet), il quartiere di Picanello, San Leone, la zona di via Acquicella.
Nessuna particolare prescrizione è tuttavia seguita.
Vengono identificate le aree di ammassamento, di attesa e di ricovero della popolazione e le strutture per la gestione delle emergenze. Nulla però sulle vie di fuga. Una carenza grave.
Troviamo piuttosto i recapiti, i numeri telefonici da comporre in casi di emergenza (saranno ancora validi?) e persino la modulistica per segnalare i danni.
Tutta l’impostazione del documento è centrata soprattutto sulla gestione del danno senza che venga affrontato il nodo cruciale della prevenzione, se non con dichiarazioni di principio che lasciano il tempo che trovano e non impegnano alcuno.
Anche nell’Allegato L del Piano, che descrive i risultati del progetto Risk-Ue per Catania, risalenti al 2003, troviamo ripetuto più volte il concetto che “l’identificazione degli elementi a rischio deve essere condotta con l’appoggio di esperti di diversi settori dell’Amministrazione locale”, sollecitata a “fornire le proprie indicazioni per via scritta o orale”.
Entrando nel concreto, nell’allegato è analizzata la situazione degli ospedali, sulla base dell’ubicazione e di altri dati relativi ad età e struttura. Vengono citati, evidentemente, quelli esistenti alla data di elaborazione del documento (2003).
Manca il Garibaldi Nuovo, una delle strutture oggi più frequentate, mente viene preso in considerazione l’Ascoli- Tomaselli, ormai chiuso.
Un esempio concreto della necessità di un costante e puntuale aggiornamento.

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