Disagio abitativo, quattro domande al sindaco

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Un protocollo d’accoglienza che definisca i diritti di donne e uomini vittime del disagio sociale e abitativo. E che riguardi tutti, donne e uomini, bianchi e neri, italiani e stranieri.

Lo chiedono al sindaco Salvo Pogliese e a Giuseppe Lombardo, assessore ai Servizi sociali, il Sunia, sindacato degli inquilini, e le associazioni La RagnaTela e Città Felice.

Dopo l’ultima ordinanza di sgombero di Piazza della Repubblica, presentata come una misura “per ridare decoro alla città e intervenire sul disagio degli ultimi”, ci si chiede se davvero quella dello sgombero, periodicamente reiterato, sia una modalità di intervento accettabile da parte di una amministrazione che ha a disposizione alcuni progetti già finanziati.

Se non si mettono in atto concreti interventi per risolvere seriamente il problema, ci ritroveremo presto davanti a nuovi casi di utilizzo di strade e piazze come ricovero soprattutto notturno, e quindi a nuove ordinanze di sgombero, comunque non risolutive.

Forte della conoscenza diretta della questione abitativa a Catania, Giusi Milazzo del Sunia, insieme a Ragna Tela e Città felice, rivolge al sindaco quattro quesiti.

“A che punto sono i progetti previsti dal Pon Metro per i senza tetto? In particolare ci risulta che per il progetto “Radici”, rivolto ai senza dimora (anche immigrati) e alle persone in emergenza economica e abitativa, erano stati previsti 4 milioni e 400 mila euro; cosa è stato fatto? Come mai i senza tetto di Corso Sicilia non hanno potuto beneficiarne?”

In effetti il Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane (Pon Metro), che interessa 14 città metropolitane, tra cui Catania, destina cifre non indifferenti, di provenienza in buona parte europea, alla soluzione del disagio abitativo.

Il progetto Radici (Azione 3.2.2 del Pon Metro) prevede, ad esempio, “servizi per l’inclusione dei senza dimora o assimilati (stranieri in emergenza abitativa estrema)”: alloggi protetti e/o di transizione, servizi di mensa, lavanderia e doccia, un centro diurno, mediazione culturale e lezioni di italiano per gli stranieri, un call center per fornire le informazioni sui servizi e sulla modalità per accedervi. Il tutto con un finanziamento di quasi 4 milioni e mezzo di euro.

All’interno del progetto, è prevista anche una “mappatura dinamica dei luoghi di stazionamento e dei mutamenti che si realizzano nel corso del tempo”. Stupisce quindi che si debba arrivare a ricevere segnalazioni e lagnanze da parte dei cittadini e ad emanare ordinanze più o meno tempestive su fenomeni che dovrebbero essere continuamente monitorati.

Non è quindi peregrino chiedere conto di quanto sia stato in effetti realizzato rispetto a quello che è previsto sulla carta.Sempre nell’ambito del Pon Metro, sono previsti alloggi di transizione per le emergenze ed una apposita Agenzia sociale per la casa, denominata Habito, un “luogo che accolga funzioni differenti, sociali, educative, occupazionali e di orientamento sanitario, strutturate secondo il modello “Housing First”.

Ecco allora la “anagrafe abitativa per le case sfitte pubbliche e private” e il costante “censimento della domanda-offerta abitativa”, per offrire un housing sociale nelle situazioni di emergenza e di particolare vulnerabilità.

Il modello “housing first”, già sperimentato in altri paesi anche extraeuropei, ha come finalità quella di di individuare ed offrire, tramite i servizi sociali territoriali, appartamenti autonomi “senza passare dal dormitorio”. L’ingresso in una residenza dovrebbe essere associato all’accompagnamento di una equipe di operatori sociali (supported housing) che offre sostegno a vari livelli.

In pratica, nonostante un finanziamento già programmato e in parte erogato, l’housing first di Habito ancora non funziona e sono pochissime le case individuate per rispondere alle situazioni di disagio abitativo.

All’inizio del periodo delle restrizioni dovute alla pandemia il sindaco e l’assessore ai Servizi sociali, dopo la nota inviata dal Sunia e dalla Ragnatela a cui avevano aderito più di 50 Associazioni, avevano comunicato che sarebbero stati messi a disposizione dei senza tetto i cosiddetti alloggi di transizione previsti dal progetto.

“Come mai – chiede oggi Milazzo – il Comune, a differenza di quanto disposto in altre Regioni, per esempio in Emila Romagna, non ha disposto che gli aiuti per l’emergenza vadano anche a chi è sprovvisto di residenza? Infine, il Sunia chiede se l’Amministrazione comunale abbia contezza che la povertà e le necessità di avere un tetto disponibile, aumenteranno a dismisura (compresi per gli immigrati, che versano in condizioni ancora più difficili), come conseguenza di questa difficilissima fase”.

Lo scorso 27 febbraio, il Comune di Catania nella persona del Direttore della Direzione Servizi sociali e i rappresentanti dei sindacati degli inquilini e degli assegnatari di alloggi popolari di CGIL, CISL e UIL, hanno firmato un ‘accordo di collaborazione’ in cui sono state individuate le rispettive competenze e i rispettivi ruoli.

Toccherà al Comune: avviare un Osservatorio sulla casa, istituire un fondo di garanzia, monitorare mensilmente gli obiettivi raggiunti ed estendere, se possibile, i servizi dell’Agenzia ai comuni limitrofi, in cui è potenzialmente più facile reperire abitazioni disponibili.

Toccherà alle organizzazioni sindacali indirizzare all’Agenzia i soggetti in grave disagio sociale, seguirli nelle diverse fasi della procedura, verificare la disponibilità alla locazione e realizzare incontri informativi e di aggiornamento con il personale dell’Agenzia.

Quanto sarà efficace e incisivo questo nuovo accordo è ancora da verificare, ma la partenza non è promettente. L’Osservatorio ancora non esiste, tanto meno il fondo di garanzia che sarebbe essenziale per rassicurare i proprietari circa eventuali mancati pagamenti o eventuali danni procurati all’abitazione, una spinta concreta per cominciare a lavorare davvero alla soluzione del problema.

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